DAIDO MORIYAMA E SHOMEI TOMATSU AL MAXXI DI ROMA

– Pronto? Ehi Fra, ci sei? –
– Ehi Gabri, certo, come va? –
– Tutto bene, grazie. Ascolta, hai visto che c’è la mostra Moriyama e Tomatsu a Roma? –
– Ma veramente? e dove? –
– Al Maxxi! –
Ed è in questo modo che sono venuto a sapere che a Roma è finalmente arrivata la mostra di due dei miei fotografi preferiti: Daido Moriyama e Shomei Tomatsu.
L’esposizione, intitolata “Tokyo Revisited Daido Moriyama con Shomei Tomatsu” presenta, con oltre 500 immagini, il mondo non visto della capitale giapponese, dal dopoguerra ai giorni nostri.
“Tokyo è un oceano con una selva di soggetti in attesa di essere fotografata. Non ho scelta, devo buttarmi e rinunciare al controllo delle cose…” Daido Moriyama
Le fotografie di Moriyama, esposte sulle pareti gialle, sia alternano a quelle di Tomatsu, esposte invece su un bellissimo sfondo celeste. Il visitatore è invitato dunque ad esplorare la capitale giapponese, perdendosi in una galassia di immagini, suoni, colori e proiezioni.
Sono diversi i temi esplorati dal duo di fotografi giapponesi.
Il nomadismo urbano come stile di vita; il mondo dell’arte influenzato dalla Beat Generation di Jack Kerouac; Shinjuku, il famoso distretto a luci rosse di Tokyo e infine il mondo interiore rappresentato con delle istantanee della propria immagine allo specchio o tramite le rispettive ombre sotto il chiaro di luna.
Insomma, una mostra da non perdere per tutti quelli che, come me, amano la fotografia giapponese. Ma andiamo per gradi e cerchiamo di capire chi sono questi due fotografi e qual è la loro poetica.
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1) SHOMEI TOMATSU
Shomei Tomatsu (1930-2012) è stato elogiato come il più grande e influente fotografo emerso dalla turbolenta generazione del dopoguerra giapponese. Il suo stile grezzo, granuloso e impressionista ha infatti segnato una rottura drammatica con il quieto formalismo che aveva definito la fotografia precedente.
“A volte un fotografo è un passeggero, a volte una persona che sta in un luogo. Quello che guarda cambia costantemente, ma il suo modo di guardare non cambia mai. Non esamina come un medico, non difende come un avvocato, non analizza come uno studioso, non sostiene come un prete, non fa ridere come un comico o inebria come un cantante. Lui guarda solo. E questo è già abbastanza. No, questo è tutto ciò che posso fare. Tutto ciò che un fotografo può fare è guardare. Pertanto, un fotografo deve guardare tutto il tempo. Deve affrontare l’oggetto e rendere tutto il suo corpo un occhio. Un fotografo è qualcuno che scommette tutto sul vedere”. Shomei Tomatsu
La sua carriera inizia alla fine degli anni ’50 quando, affascinato dall’americanizzazione del suo paese e dal suo impatto sullo stile di vita e sulla cultura giapponese, Tomatsu inizia a fotografare i soldati americani nelle basi militari in Giappone, culminando nel suo progetto più famoso intitolato Chewing Gum and Chocolate.
Nella serie Chindon, invece, il fotografo si concentra sui poveri attori e musicisti chiamati chindon’ya che, vestiti con i propri tradizionali costumi del periodo Edo, diventano dei veri e propri modelli pubblicitari per i grandi magazzini.
Con Asphalt, Tomatsu sperimenta invece la forma, rivelando dei mondi prima di allora inimmaginabili.
In questa raccolta, infatti, il fotografo scatta una serie di fotografie all’asfalto delle strade, che lui identifica come la pelle della città, in cui i frammenti di oggetti metallici incrostati al suo interno sembrano polvere di stelle.
Negli anni ’60, il fotografo giapponese inizia a lavorare con la fotografia a colori e questo aspetto della sua pratica assume sempre più rilievo con il passare degli anni.
In alcune opere dei primi anni ’80 come, ad esempio, Cherry Blossoms, Tomatsu lavora con la scala, ingrandendo ad esempio i dettagli dei ciliegi giapponesi in fiore.
Agli inizi degli anni 80, a causa di alcuni problemi cardiaci, Tomatsu è costretto ad un intervento chirurgico di bypass cardiaco che lo costringe a trasferirsi a Chiba, una città del Giappone, situata a sud-est di Tokyo.
Qui inizia a vagare per le spiagge vicino alla sua casa e inizia a fotografare i detriti che si riversavano sulle spiagge di sabbia nera. La raccolta di foto sfociò in un libro intitolato Plastics.
Più o meno nello stesso periodo, sviluppa una serie intitolata Sakura Sakura Sakura. Tomatsu nota come il suo intervento chirurgico abbia spostato il suo interesse sulla questione della sopravvivenza e della mortalità, dimostrando il suo approccio sempre più allusivo verso queste tematiche.
Nel 1992, la serie Sakura + Plastics fu esposta al Metropolitan Museum of Art, diventando così la prima mostra personale del museo dedicata ad un artista giapponese vivente.
Nel 2010, Tomatsu si trasferisce definitivamente a Okinawa, dove muore di polmonite il 14 dicembre del 2012.
Le opere principali:
2) DAIDO MORIYAMA
Daido (Hiromichi) Moriyama nasce nel 1938 nella provincia di Osaka, dove studia fotografia presso lo studio di Takeji Iwamiya. Nel 1961 si trasferisce a Tokyo e qui collabora per un breve periodo con il gruppo denominato VIVO, i cui membri includevano appunto Shomei Tomatsu.
In questo periodo produce una raccolta di fotografie intitolata “Nippon gekijō shashinchō” (Japan, A photo theater) che racchiude i lati più oscuri della vita urbana della capitale giapponese.
In questa raccolta Moriyama tenta di mostrare al pubblico come la vita in alcune aree urbane della città fosse molto diversa rispetto ad altre parti invece molto più industrializzate.
Nel 1968 collabora alla creazione di Provoke, una rivista fotografica fondata da alcuni fotografi e poeti giapponesi, tra cui Takahiko Okada, Takuma Nakahira e Koji Taki.
Sebbene la rivista sia durata per sole tre edizioni, la sua estetica satura, anti accademica e sperimentale divenne molto influente per le future generazioni di fotografi giapponesi.
Conosciuto con il nome di “are-bure-boke” (sgranato, sfocato), lo stile del gruppo Provoke è principalmente associato all’opera di Moriyama. Questo periodo sfocia nella pubblicazione del libro “Farewell Photography” del 1972. Non è esagerato affermare che questa serie di scatti ha avuto un impatto così enorme da cambiare il mondo della fotografia.
Divenuto famoso, Moriyama inizia a viaggiare e a scattare fotografie fuori dal Giappone, visitando per la prima volta New York nel 1971. Qui partecipa come figura centrale alla mostra collettiva denominata “New Japanese Photography” al Museum of Modern Art (MoMA).
Gli anni ’70 coincidono anche con il passaggio di Moriyama dal bianco e nero al colore.
Nel 1983 tiene una mostra collettiva intitolata “Contemporary 6 Photographers by Polaroid 10 x 24″ al Seibu Art Museum di Tokyo, mentre l’anno successivo un esposizione lo porta nei musei più importanti del mondo: il Black Sun, il The Eyes of Four, la Serpentine Gallery, il Museo d’Arte di Filadelfia e il Japan House Gallery di New York.
Nel 1987 apre la sua galleria privata, la “Room.801” dove continua a produrre mostre, esibizioni, e raccolte fotografiche. Il suo portfolio si ferma al 2017 come data più recente di una sua opera, “Pretty Woman”.
Artista altamente prolifico, Moriyama ha pubblicato oltre 150 libri fotografici e ha tenuto più di 100 mostre personali dal 1968 ad oggi.
Le opere principali:
- Daido Moriyama. In colours
- Record N0.30
- Daido Moriyama. Remix
- Provoke by Daido Moriyama
- Daido Moriyama: Shinjuku 19xx-20xx
- Labyrinth: Daido Moriyama
- Daido Moriyama: Tokyo
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