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29 Maggio 2022

SHOMEI TOMATSU: QUELLO CHE MI HA INSEGNATO SULLA FOTOGRAFIA

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Pochi giorni fa un caro amico mi ha invitato a casa sua perché voleva che io vedessi un vecchio libro che aveva trovato dentro un secchio della spazzatura.

– È un libro di fotografie – mi disse al telefono. – Ma non so di chi sono perché la copertina credo sia stata mangiata dai cani –

– Dai cani? –

– Si, dai cani! Stavo passeggiando vicino casa quando improvvisamente ho sentito abbaiare. Ma non era un abbaio normale. Quelli li riconosco. Era un abbaio diverso, come se il cane fosse stato male – mi disse. – Così mi sono avvicinato e ho scoperto che quello che sentivo proveniva da un cane piccolo, minuscolo. Se ne stava seduto, tutto impaurito, sotto un secchio dell’immondizia e intorno a lui, quattro cani randagi gli ringhiavano. Così ho preso un bastone e gli sono corso incontro sventolandolo come una bandiera. Ovviamente, appena mi hanno visto, sono scappati. Cosi mi sono piegato e ho visto che il cucciolo se ne stava immobile, abbaiando, sopra un libro tutto stropicciato. Ho preso il cane e il libro. Ora entrambi sono a casa mia. Ti va di passare? – 

– Certo che passo. Aspettami li, arrivo fra dieci minuti –

Il libro era molto rovinato, molte pagine non c’erano più e quelle poche rimaste erano sporche di bava di cane. Più sfogliavo il libro, più cercavo di capire chi fosse il fotografo. Le fotografie erano in bianco e nero, granulose, e in un primo momento pensai a Daido Moriyama.

Ad un tratto, però, è apparsa una fotografia che conoscevo molto bene. Raffigurava una donna con la bocca aperta, come se stesse urlando…

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Mi giro verso il mio amico e con aria sapiente gli faccio: – Shomei Tomatsu – 

– Chi? – 

– Shomei Tomatsu. Il padre fondatore della rivista giapponese Provoke. Non ne hai mai sentito parlare? – faccio io.

– No, Fra, lo sai che a me interessa solo la Roma. Tieni, se vuoi, te lo regalo, certo, in queste condizioni… –

– E che m’importa? Grazie Fabri… –

– Figurati… Ma è un fotografo famoso? –

Cosi l’ho fatto mettere comodo e gli ho raccontato per filo e per segno chi fosse Shomei Tomatsu. Poi, tornato a casa, già che mi trovavo ho scritto questo articolo.

Spero ti piaccia. Sul web non si trova molto di questo fotografo ma io, da buon collezionista, avevo parecchie sue foto nel cassetto. Così le ho fotografate con il mio smartphone e le ho pubblicate in questo post.

Buona lettura…


I GRANDI FOTOGRAFI


SHOMEI TOMATSU: QUELLO CHE MI
HA INSEGNATO SULLA FOTOGRAFIA

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1) LA VITA E LE OPERE

Shomei Tomatsu (1930-2012) è stato elogiato come il più grande e influente fotografo emerso dalla turbolenta generazione del dopoguerra giapponese. Il suo stile grezzo, granuloso e impressionista ha infatti segnato una rottura drammatica con il quieto formalismo che aveva definito la fotografia precedente.

“A volte un fotografo è un passeggero, a volte una persona che sta in un luogo. Quello che guarda cambia costantemente, ma il suo modo di guardare non cambia mai. Non esamina come un medico, non difende come un avvocato, non analizza come uno studioso, non sostiene come un prete, non fa ridere come un comico o inebria come un cantante. Lui guarda solo. E questo è già abbastanza. No, questo è tutto ciò che posso fare. Tutto ciò che un fotografo può fare è guardare. Pertanto, un fotografo deve guardare tutto il tempo. Deve affrontare l’oggetto e rendere tutto il suo corpo un occhio. Un fotografo è qualcuno che scommette tutto sul vedere”. Shomei Tomatsu

Shomei Tomatsu nasce a Nagoya nel 1930. Da adolescente, durante la Seconda Guerra Mondiale, viene mandato a lavorare in un’acciaieria e qui subisce continui condizionamenti volti ad installare paura e odio nei confronti degli Inglesi e degli Americani.

Una volta finita la guerra, però, il giovane Tomatsu scopre che i suoi preconcetti nei confronti degli occidentali erano del tutto infondati. Il disprezzo venne sostituito da singoli atti di gentilezza che riceveva dai soldati che, nel frattempo, avevano occupato le principali città giapponesi: praticamente amava e odiava allo stesso tempo la loro presenza.

Queste interazioni, che in seguito il fotografo descrisse come i ricordi più formativi della sua infanzia, diedero inizio alla sua fissazione nei confronti dei soldati americani. 

Ed è proprio in questi anni che inizia la sua carriera quando, affascinato dall’americanizzazione del suo paese, Tomatsu inizia inizia a fotografare i soldati americani nelle basi militari in Giappone, culminando nel suo progetto più famoso intitolato Chewing Gum and Chocolate.

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Nel 1957, Tomatsu partecipa alla mostra Eyes of Ten dove espone per ben tre volte la sua serie di fotografie Barde Children’s Shool. Al termine della terza mostra, il fotografo fonda il collettivo fotografico VIVO insieme ad altri fotografi nipponici come Eikoh HosoeKikuji KawadaIkkō NaraharaAkira SatōAkira Tanno e Daido Moriyama.

Divenuto famoso, negli anni ’60 il fotografo collabora con importanti riviste fotografiche come Asahi Camera e Camera Mainichi dove pubblica la sua serie Home in Photo Art.

In contrasto con lo stile precedente che somigliava di più al fotogiornalismo tradizionale, Tomatsu inizia a sviluppare una forma altamente espressionistica che diventa in breve tempo il suo cavallo di battaglia.

Nel 1960 Tomatsu viene incaricato dal Consiglio Giapponese contro le bombe atomiche di scattare delle immagini per mostrare al pubblico internazionale gli effetti della bomba atomica. Il fotografo viene quindi invitato a Nagasaki e qui ha l’opportunità di parlare e di fotografare le vittime della bomba atomica, note con il nome di hibakusha.

Come molti giapponesi dell’epoca, infatti, Tomatsu aveva solo una conoscenza superficiale degli effetti della devastazione. Le immagini di Nagasaki e degli hibakusha sono state raccolte in un libro intitolato Hiroshima, Nagasaki, Document, 1961.

Grazie a questo volume, il fotografo viene nominato come Fotografo dell’anno dall’Associazione Giapponese dei Critici Fotografici.

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Nella serie Chindon del 1961 il fotografo si concentra sui poveri attori e musicisti chiamati chindon’ya che, vestiti con i propri tradizionali costumi del periodo Edo, diventano dei veri e propri modelli pubblicitari per i grandi magazzini.

Con Asphalt, invece, Tomatsu sperimenta la forma, rivelando dei mondi prima di allora inimmaginabili.

In questa raccolta, infatti, il fotografo scatta una serie di fotografie all’asfalto delle strade, che lui identifica come la pelle della città, in cui i frammenti di oggetti metallici incrostati al suo interno sembrano polvere di stelle.

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Nel 1967 Tomatsu fonda la sua casa editirice Shaken.

Tramite Shaken, Tomatsu pubblica Nippon (1967), Assalamu Alaykum (1968) che racconta il suo viaggio in Afghanistan e Oh! Shinjuku (1969), un mix di immagini scattate durante la vita notturna di Shinjuku, il famoso quartiere a luci rosse di Tokyo.

Grazie alla sua casa editrice, Tomatsu fonda anche la rivista culturale Ken che va ad affrontare la preoccupante deriva fascista in cui si ritrova il Giappone.

Nel ’69 Tomatsu si dirige ad Okinawa per fotografare le basi americane.

Le immagini che raccolse formarono il libro Okinawa, Okinawa, Okinawa che furono usate come una critica esplicita contro l’aviazione americana.

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Sulla copertina, venne inserito uno slogan che esprimeva il suo disprezzo per la schiacciante presenza americana nella città giapponese.

Ad Okinawa, dove il fotografo si trasferisce nel 1972, Tomatsu visita le isole remote di Iriomote e Hateruma.

Le immagini scattate in questo periodo furono raccolte nel suo premiato Pencil of the sun (1975). In questo volume, oltre alle classiche fotografie in bianco e nero, Tomatsu pubblica le sue prime immagini a colori.

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Nel 1974, Tomatsu torna a Tokyo dove fonda la Workshop Photo School, un workshop alternativo di due anni in collaborazione con Eikoh HosoeNobuyoshi Araki, Masahisa Fukase, Daidō MoriyamaNoriaki Yokosuka.

Nello stesso anno partecipa alla sua prima grande mostra internazionale, New Japanese Photography (1974) al MoMA di New York, insieme ai membri del workshop e ad altri 11 fotografi internazionali.

Nel 1980, Tōmatsu pubblica altri tre libri: Scarlet Dappled Flower (1976) e The Shining Wind (1979) che raccolgono le immagini di OkinawaKingdom of Mud (1978).

Agli inizi degli anni 80, a causa di alcuni problemi cardiaci, Tomatsu è costretto ad un intervento chirurgico di bypass cardiaco che lo costringe a trasferirsi a Chiba, una città del Giappone, situata a sud-est di Tokyo.

Qui inizia a vagare per le spiagge vicino alla sua casa e inizia a fotografare i detriti che si riversavano sulle spiagge di sabbia nera. La raccolta di foto sfociò in un libro intitolato Plastics.

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Più o meno nello stesso periodo, sviluppa una serie intitolata Sakura Sakura Sakura. 

Tomatsu nota come il suo intervento chirurgico abbia spostato il suo interesse sulla questione della sopravvivenza e della mortalità, dimostrando il suo approccio sempre più allusivo verso queste tematiche.

Nel 1992, la serie Sakura + Plastics fu esposta al Metropolitan Museum of Art, diventando così la prima mostra personale del museo dedicata ad un artista giapponese vivente.

Nel 2010, Tomatsu si trasferisce definitivamente a Okinawa, dove muore di polmonite il 14 dicembre del 2012.

2) LA SUA OPERA PIÙ FAMOSA: “CHEWING GUM AND CHOCOLATE”

Chewing Gum and Chocolate è una raccolta di fotografie, realizzata in Giappone dal 1959 al 1981, da Shomei Tomatsu. Scoprii questo volume a Londra, durante un mio soggiorno nel dicembre del 2017. Ricordo ancora il mio entusiasmo quando lo sfogliai per la prima volta.

Tomatsu era il preferito dai fotografi dell’era Provoke, la famosa rivista nipponica di cui il fotografo fu uno dei padri fondatori e che, più o meno, aprii la strada ad alcune tecniche espressioniste che rivoluzionarono la fotografia degli anni 60.

Gli scatti susseguono veloci, pagina dopo pagina, suddivisi da alcuni scritti di Tomatsu, presi dai vari diari, riviste e libri fotografici precedenti. Pur essendo un libro postumo, Tomatsu è stato coinvolto nelle selezione delle immagini fino al momento della sua morte avvenuta nel 2012.

Come ho già spiegato prima, il volume è un’accesa critica nei confronti degli Americani, nel periodo in cui gli Stati Uniti occuparono il Giappone anche dopo aver formalmente restituito la sovranità ai giapponesi nel 1952, principalmente in luoghi come Okinawa, dove gli stranieri sono rimasti una presenza importante fino agli anni ’70.

“Nel 1945 il Giappone fu inondato di soldati americani. Stavamo morendo di fame e ci hanno lanciato cioccolato e gomme da masticare. Quella era l’America. Nel bene e nel male, è così che ho incontrato l’America”. Shomei Tomatsu

Tomatsu, nei suoi scritti, è ambivalente: totalmente contrario all’occupazione ma anche solidale con la visione degli americani che volevano portare in Giappone la democrazia. I frammenti dei suoi scritti lo chiariscono, cosi come i suoi scatti, davvero singolari per l’epoca in cui sono stati realizzati.


Le opere principali:


Il lavoro di Shomei è relativamente sconosciuto e trovo una profonda ispirazione nel suo lavoro oscuro e surreale.

Non solo ha usato la fotografia come dichiarazione socio-politica, ma l’ha anche usata come un modo per navigare meglio nella società giapponese del dopoguerra.

Ecco 3 lezioni che ho imparato dalla sua fotografia:

1) FAI LE TUE ESPERIENZE

“Una singola fotografia è un semplice frammento di un’esperienza e, allo stesso tempo, la distillazione dell’intero corpo della propria esperienza.” Shomei Tomatsu

La vita è un continuo susseguirsi di esperienze.

Queste, saranno sia buone che cattive, ma entrambe ci aiuteranno a vivere una vita più produttiva. L’esperienza è anche un ingrediente chiave per il successo nel lavoro.

Una volta che hai il tuo piede nella porta, infatti, sarà molto più facile entrare. La fotografia, come molti altri mestieri, richiede esperienza e conoscenza. E sebbene la strada da fare sarà lunga e tortuosa, alla fine, la ricompensa potrà essere enorme.

Studiare e praticare nello stesso momento è davvero una benedizione. Ci potrà volere un anno, due anni o forse dieci, ma con la forza della perseveranza, alla fine riuscirai a realizzare il tuo sogno.

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Bottiglia sciolta e deformata dalle radiazioni della bomba atomica (Nagasaki) 1961

2) PER SCATTARE TI BASTERÀ UNO SMARTPHONE

“Sogno un nuovo tipo di fotocamera collegata direttamente alla corteccia cerebrale. Non dovrebbe essere più grande di un paio di occhiali e non più pesante di un cappello. Funzionerebbe continuamente, regolando automaticamente la velocità dell’otturatore, l’apertura e la messa a fuoco, ingrandendo un momento dal primo piano estremo al campo lungo estremo. Il fotografo dovrebbe solo pensare cosa vuole fotografare. La pellicola si avvolgerebbe automaticamente e saresti in grado di scattare mille fotografie senza mai cambiarla. Sarebbe sia in bianco e nero o a colori. Registrare la propria posizione potrebbe essere impossibile, ma la data e l’ora di ogni fotografia verrebbero mostrate sui bordi della pellicola, automaticamente, come su un calendario. Con questa nuova fotocamera attaccata al mio corpo, avrei semplicemente scattato, scattato e scattato…” – Shomei Tomatsu

Spesso, come fotografi, siamo ossessionati dall’attrezzatura fotografica.

Nella mia esperienza personale, invece, ho scoperto che le fotocamere piccole funzionano meglio. Queste, infatti, ci permettono di connetterci più a fondo con i nostri soggetti, senza avere alcun tipo di barriera con loro.

Prendi, ad esempio, lo smartphone.

Grazie allo smartphone potrai scattare delle foto di altissima qualità inoltre, se stai scattando di nascosto, nessuno si accorgerà che lo stai riprendendo.

Sull’argomento, ho scritto davvero parecchi articoli:

Inoltre, se ti piace scattare con l’iPhone, ti suggerisco di scaricare un’App chiamata Provoke. Si, hai letto bene, Provoke, come il magazine fondato negli anni ’60 da Tomatsu e Daido Moriyama.

Ecco i miei scatti realizzati con questa app.

3) OSSERVA

L’osservazione è una parte fondamentale della fotografia.

Essa infatti ci permette di scegliere cosa scattare e cosa non, anche se spesso i risultati non sono quelli che vorremmo. Osservare ci fa vedere cose inaspettate che potrebbero stimolare la nostra curiosità.

Spesso infatti i nostri occhi e il n

ostro cervello ci giocano brutti scherzi, facendoci vedere ciò che ci aspettiamo di vedere, invece di ciò che effettivamente è.

Grazie all’osservazione, invece, potremo capire se la scena che stiamo guardando, potrà essere così interessante da essere immortalata dalla nostra fotocamera.

Penso che Tomatsu voglia dire proprio questo: usa la tua macchina fotografica come strumento per documentare il mondo intorno a te e per provocare una risposta emotiva nel tuo spettatore.

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Concludo questo articolo con alcune sue citazioni che ho preso nei libri. Spero davvero che ti piacciano e che ti aiutino a diventare un fotografo migliore…

  • Fotografare significa liberarsi da un tipo di gravità e posizionarsi in uno spazio in cui una forza diversa sta cercando di muoverti
  • In questo, la fotografia è la stessa cosa dell’amore. Quando il mio sguardo, tuffandosi nel mare come soggetto, converge con l’atto della fotografia, nel punto di intersezione volano scintille ardenti
  • Un fotografo guarda tutto, ecco perché deve guardare dall’inizio alla fine. Affronta il soggetto frontalmente, rimani fisso, trasforma l’intero corpo in un occhio e affronta il mondo
  • Diciamo che dormo in media sei ore al giorno, che restano diciotto ore: 64.800 secondi. Se scatto una fotografia in 1/1000 di secondo, la fascia di tempo rappresentata da quella foto è 1/64, 800.000 di un giorno…”

Un abbraccio
Francesco

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TECNICA FOTOGRAFICA

FOTOGRAFARE CON L’iPHONE

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